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L’ascesa delle Intelligenze Artificiali Generative: oltre la magia

Il dibattito pubblico sulle Intelligenze Artificiali Generative ha preso il volo con il lancio di Chat GPT, che ha inaspettatamente conquistato un milione di utenti in soli cinque giorni dal lancio e ha raggiunto il traguardo record di 100 milioni in tre mesi. 

Da allora quello che era un tema di nicchia tra addetti ai lavori ha iniziato a dominare le prime pagine dei media mentre, seguendo l’ondata di questa rivoluzione tecnologica, giganti tecnologici come Google, Adobe e Microsoft si affrettavano ad integrare queste tecnologie nei loro prodotti.

Nel frattempo, servizi innovativi basati su questa tecnologia – dalla creazione di testi, immagini e video alla generazione di codice e altro ancora – vengono lanciati quasi ogni giorno. 

Ma da cosa nasce tutto questo fermento? Al centro di tutto c’è la sorprendente abilità delle AI Generative di creare contenuti originali a partire da un semplice input testuale (prompt).

In pratica basta scrivere la propria richiesta al software per creare qualcosa di nuovo in pochi secondi.

Sembra magia, ma cos’è esattamente e come funziona l’Intelligenza Artificiale Generativa?

L’Intelligenza Artificiale Generativa, in sintesi, è un ramo dell’AI che utilizza tecniche avanzate (n.d.r. le reti neurali generative antagoniste) per generare nuovi dati o contenuti, piuttosto che analizzare quelli esistenti. 

Questo processo si basa su algoritmi di apprendimento automatico (n.d.r. machine learning) che digeriscono enormi quantità di dati per creare nuovi contenuti.

Prendiamo ad esempio GPT-3, il motore che alimenta Chat GPT, che è stato addestrato su un set di dati di oltre 45 terabyte, una quantità che potrebbe sembrare modesta a prima vista, ma che in realtà è monumentale, soprattutto se consideriamo che l’intero contenuto di Wikipedia rappresenta solo il 3% del totale dei dati testuali utilizzati per il suo addestramento.

Se dovessimo paragonare le AI Generative ai motori di ricerca, potremmo dire che, come Google analizza e cataloga le pagine web per fornire risposte pertinenti alle ricerche degli utenti, Chat GPT impara e crea dai dati che assorbe fornendo risposte basate su quello che ha imparato.

Quando effettuiamo una ricerca online, Google non va a setacciare l’intero Web alla ricerca di risposte, ma cerca nel suo database le pagine che ritiene più in linea con quella richiesta, in base ad un complesso processo di indicizzazione dei contenuti.

Google lavora essenzialmente in due fasi: la fase di spidering e raccolta dati in cui scandaglia il web e classifica i contenuti, e la fase di ricerca dell’utente, dove restituisce risultati pertinenti alla ricerca.

ChatGPT funziona più o meno allo stesso modo. La fase di raccolta dei dati e apprendimento è chiamata training, mentre la fase di risposta è chiamata inferenza

Il motivo dietro l’ascesa improvvisa delle AI Generative è che la fase di training è diventata enormemente scalabile, grazie ad hardware sempre più potenti e alle innovazioni nel cloud computing.

Non si tratta comunque di una tecnologia matura, ma anzi ben lontana dalla perfezione: sono ancora tante le sfide da affrontare e i margini di miglioramento. Dai problemi di imparzialità legati al processo di apprendimento automatico, all’accuratezza nelle risposte, fino alle spinose controversie relative al plagio, dovuti all’utilizzo massivo di materiale protetto dal diritto d’autore nei processi di training. 

Poi c’è il dibattito etico sul ruolo dell’AI nel panorama lavorativo, sociale e nei processi decisionali: questa tecnologia potrebbe sostituire l’uomo e cancellare posti di lavoro? Potrebbe diventare senziente e autonoma dal controllo umano?

Molti di questi timori nascono dalla crescente capacità delle macchine computer di svolgere compiti finora riservati a specialisti umani in campi come il diritto, la programmazione o il giornalismo, per fare alcuni esempi.

Questo genera ovviamente preoccupazione per l’occupazione e per la coesione sociale, ma un aspetto spesso trascurato da queste analisi è il grande potenziale dell’IA di potenziare e affiancare la creatività umana, piuttosto che sostituirla.

Nel mondo della comunicazione, ad esempio, le tecnologie AI, in particolare l’Intelligenza Artificiale Generativa, hanno il potenziale di rivoluzionare il processo creativo se usate come strumento di brainstorming, a disposizione di team di ogni livello, per amplificare la creatività umana e produrre risultati di qualità superiore.

Pensiamo alla possibilità di generare rapidamente molteplici varianti di un’idea o di un design, ampliando le opzioni creative tra cui scegliere o da cui ripartire nel processo creativo, di prototipazione o di design.

Attività creative come la stesura di copioni, sceneggiature, storyboard, la pianificazione di scatti fotografici possono trarre spunti inediti dall’uso dell’AI generativa e aiutare i professionisti a guardare la realtà da prospettive nuove e inusuali.

Anche l’analisi e lo studio dei dati possono trarre giovamento dall’uso dell’AI per analizzare rapidamente grandi quantità di informazioni. L’AI può essere di supporto nell’individuare tendenze emergenti e pattern nascosti e offrire approfondimenti strategici che possono ispirare idee innovative. Il tutto permettendo di risparmiare tempo prezioso e aiutando a ridurre gli errori.

Altre attività in cui l’AI potrebbe fornire assistenza sono la pianificazione dei social media, la creazione di report o l’invio di e-mail, ma anche fornire ai professionisti strumenti di apprendimento e formazione personalizzati, aiutandoli a migliorare le loro competenze e a adattarsi all’evoluzione del mercato.

In definitiva l’Intelligenza Artificiale può essere un prezioso alleato, liberando i professionisti dalla fatica dei compiti più monotoni e di basso livello e consentendo loro di concentrarsi su sfide più creative, strategiche e stimolanti

Seppure sussista una certa diffidenza verso questa nuova tecnologia, la visione prevalente tra gli esperti è che le tecnologie AI non riusciranno a sostituire completamente il lavoro umano, ma affiancheranno le persone integrandosi negli attuali flussi di lavoro, elevando la qualità e l’efficienza.

L’approccio vincente in azienda? Utilizzarla non per ridurre i costi, ma per alzare l’asticella della qualità, creando output di livello più elevato, in meno tempo.

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5 consigli di design per mantenere il tuo brand al passo coi tempi

I consigli della nostra grafica esperta per mantenere un profilo rilevante ed efficace!

1) Gioca, osa, prova!

Nonostante il logo design stia diventando sempre più flat e minimal, molte brand identity si identificano in colori vibranti, tipografie enormi, immagini impattanti e spettacolari. Tutto questo sta anche portando come conseguenza a quello che si definisce “anti-design”. Si tratta di conoscere bene tutte le regole classiche della grafica e del design e decidere di distruggerle del tutto. Il mio consiglio? Esci dagli schemi, gioca con le forme, accosta palette di colori contrastanti, non aver paura di osare! Mai come ora c’è bisogno di giocare e sperimentare

2) Stimola la tua creatività

La vita di un designer è un continuo alternarsi di momenti di grande fermento creativo a periodi di vuoto totale. La creatività non è certamente come un’interruttore, non basta premere ON e attivarla. Serve tempo e pazienza. Cerca di stare in ambienti stimolanti, circondato da persone positive o isolati in una situazione di rilassamento. Anche una bella passeggiata in mezzo alla natura prima di rimetterti all’opera può solo che fare bene. Il mio consiglio? Quando vedi che le idee non arrivano, stacca la spina! Lascia tutto così com’è, esci dalla stanza e fatti ispirare da ciò che ti circonda, potrai avere esperienze davvero positive.

3) Ritorna al passato

Gli ultimi due anni non sono stati di certo tra i più positivi, la carenza di nuove esperienze ed emozioni hanno spinto sempre di più le persone a un ritorno alla leggerezza degli anni 2000. I Millennial e la Gen Z sono attratti dal design che trasmette felicità e tranquillità. La nostalgia spinge i creator ad utilizzare palette di colori pastello (come rosa, giallo, verde e blu), trame granulose, pixel art, e caratteri serif.

4) Racconta una storia che incanti

Per attirare l’attenzione del pubblico, la tendenza è di ricorrere a nuovi formati caratterizzati da un mix di multimedialità come video, effetti e animazioni nella creazione di siti e di contenuti. La versatilità dei nuovi elementi come layout asimmetrici, narrazione a scorrimento, 3D, tipografia impattante, grafica animata è protagonista nei Creative Trends 2022. La continua ricerca di dinamismo e l’ecletticità diventeranno elementi fondamentali per la creazione di una storia unica e inimitabile. 

5) Non dimenticare chi sei e cosa vuoi comunicare

Non bisogna cercare a tutti i costi di essere diversi dagli altri. L’autenticità sta alla base di ogni contenuto di valore. Capire cosa vogliamo comunicare per il nostro target è di fondamentale importanza, non perdere mai di vista l’obiettivo finale! Allo stesso tempo sii creativo, non lasciarti frenare, esci dagli schemi e sperimenta con mix dinamici e straordinari!

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Rendi il tuo feed memorabile in 5 passaggi

Ogni giorno Instagram ospita milioni di storie, raccontate nei modi più disparati. Ci basta scrollare nell’app per nutrirci di creatività e suggestioni da tutto il mondo, e in pochi istanti possiamo partecipare a questo spettacolo corale con la nostra personale e unica visione. 

In questa enorme piattaforma ognuno cerca a modo suo di spiccare, di innovare e, soprattutto, di venire ricordati. Non si tratta di un compito semplice, che tu gestisca un profilo personale o quello di un brand, in quanto l’utente è abituato a fruire di una moltitudine di contenuti ad altissima velocità

Per raggiungere l’obiettivo conviene seguire un piano d’azione, per evitare di perderti lungo la strada e procedere in maniera ragionata. 

Gli aspetti da inquadrare nella strategia sono veramente tanti: target, tone of voice, frequenza di pubblicazione, eccetera. Il fulcro di questo social rimane comunque l’aspetto visivo e stilistico, ed ecco quindi 5 consigli per rendere il tuo feed unico e memorabile

1) Resta fedele a te stess* 

Iniziamo con la cosa più ovvia: definiamo il soggetto. Il tuo feed deve parlare di te, deve essere una vetrina sulla tua vita, sul tuo progetto o sul tuo brand.
Quanto più sarai fedele a te stesso tanto più il contenuto sarà genuino e avrà quel qualcosa in più che gli utenti noteranno. Quando un contenuto è troppo “costruito” si capisce e può essere faticoso da mantenere nel tempo. Essere genuini premia!

Deve essere chiaro a prima occhiata chi sei, cosa fai e soprattutto cosa vuoi comunicare se dietro i tuoi contenuti c’è un’idea lavorativa o un brand già avviato.

È quindi importante avere chiaro dall’inizio cosa vuoi trasmettere o cosa hai necessità di veicolare!

2) Cura la forma: palette colori, luci e layout

Non basta scattare una bella foto, con una bella luce e la composizione perfetta. Bisogna lavorare ogni immagine e ogni video in modo che tutti i contenuti seguano con costanza delle linee stilistiche specifiche.

Definisci una palette colori, ossia un insieme di poche tonalità che ripetute nel feed creino un senso di armonia e omogeneità

Decidi se vuoi avere un feed luminoso o scuro, in base a ciò che più si addice al messaggio che vuoi che passi; puoi anche decidere di organizzare i tuoi contenuti con un layout ripetitivo, che conferisca al tuo feed un aspetto originale.

3) Resta coerente

Che il tuo feed sia luminoso, scuro, vintage o monocromatico è importante mantenere sempre lo stesso fil rouge. Per questo, stabilisci dei pilastri stilistici e impegnati per rispettarli con costanza nelle tue pubblicazioni. Questo sia per i follower attuali che si aspettano un determinato tipo di contenuto, sia per dare l’impressione giusta ai nuovi.

Gli utenti utilizzano Instagram in modo veloce, scrollando quasi per inerzia finché incontrano un contenuto che immediatamente gli dica “fermati e guardami!”

L’obiettivo è avere un tratto così riconoscibile da venire identificati ancora prima che l’utente legga il nome dell’account. 

4) Sii originale

Seguire i trend è sicuramente una strategia per guadagnare visibilità, ma ciò che lascia davvero il segno è incarnare la propria unicità.

Va bene sperimentare: sicuramente ci saranno dei fallimenti ma dovrai necessariamente fare delle prove sullo stile, sul layout e sul contenuto per trovare qualcosa di speciale che ti faccia spiccare.

5) Impegnati!

Strutturare attentamente la strategia è sicuramente un modo vincente di iniziare… ma non finisce qui!
Dovrai dedicare costanza e studio continuo all’estetica del tuo feed: azzeccare al primo colpo soggetti, stili, idee può essere difficile e può capitare di trovarsi a dover cambiare direzione, ma questo non va vissuto come una sconfitta. Quando avrai trovato la tua voce, restale fedele.  

Studia il feed nel suo complesso, fai diverse prove prima di pubblicare: il contenuto che stai preparando contribuisce in maniera coerente ed efficace alla tua narrazione?  

Speriamo che questi consigli possano esserti utili per esprimere la tua unicità o quella del tuo brand e ti aspettiamo per tanti altri tips!

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Allestisci il set perfetto in 5 passaggi

Che tu sia un influencer con migliaia di follower, un videomaker in erba oppure un semplice appassionato di video e foto, ci sono dei tips and tricks che devi assolutamente conoscere per catturare al meglio l’attenzione anche del pubblico più sbadato.

Oggi parliamo della cura del set da adottare per dare un tocco professionale alla scena e conferirle un fattore “WOW”. Ecco 5 segreti da Manola, fidata scenografa di Fornace Productions, che ti aiuteranno in quest’impresa!

  1. Togli dalla scena qualsiasi elemento di distrazione
    A prescindere dallo spazio in cui ti trovi, è fondamentale fare attenzione a ogni elemento che appare nella scena. Che siano le tue ciabatte abbandonate sullo sfondo oppure il tuo bicchiere che sbuca in primo piano, devi eliminare ciò che è di troppo e che abbasserebbe inevitabilmente la qualità del tuo video, rendendolo amatoriale e poco curato. Se lo spazio che hai a disposizione non è uno studio professionale ma una stanza di fortuna piena di cianfrusaglie dove creare una scenografia ad hoc risulterebbe problematico o troppo costoso, ciò che puoi fare è utilizzare dei fondali di stoffa o qualche paravento che, come delle quinte, ti aiuteranno a nascondere ciò che è di troppo.
  2. Definisci una palette di colori
    Se riesci a definire una palette di colori per i tuoi video che sia in linea con i contenuti di cui parli, sei già a buon punto. Per esempio, se parli di yoga, è probabile che la palette più adatta sia composta da colori tenui e delicati, che aiutino anche a livello visivo a trasmettere un senso di calma e pace. Se invece i tuoi video affrontano tematiche di cronaca nera, le tonalità più cupe ti aiuteranno a enfatizzare il mood e a far calare lo spettatore nella giusta atmosfera. Inoltre, aspetto non meno rilevante, la definizione di una precisa ruota di nuance può aiutarti anche a creare un’identità che, in alcuni casi, può diventare iconica.
  3. Cura la composizione del frame
    Inserire in una scena tanti elementi può essere rischioso. A meno che tu non abbia uno spiccato senso dell’equilibrio e della composizione il nostro consiglio è: less is more. Opta per pochi elementi e cerca di inserirli nel set in modo che la scena non risulti visivamente sbilanciata. In poche parole, se decidi di inserire nella tua scena una libreria, una poltrona e una lampada, fai in modo che questi elementi siano ben distribuiti all’interno della scena, evitando di riempire troppo un lato o di lasciarne troppo vuoto un altro. Queste accortezze ti permetteranno di creare un’ambientazione che metterà a proprio agio anche lo spettatore.
  4. Scegli l’outfit più adatto
    Se vuoi fare in modo che tu o i protagonisti dei tuoi video spicchiate all’interno della scena, la cosa migliore è optare per un outfit d’impatto, che sia di un colore complementare a quello che prevale nel background. Se invece prediligi una scelta tone sur tone, vorrà dire che, visivamente, outfit e ambientazione avranno la stessa importanza e risulteranno molto in armonia tra loro. Altro aspetto importante è definire un look che vada di pari passo con il tono del video e con il set. Molto semplicemente: giacca e cravatta possono essere adatte se il video che realizzi è un webinar, mentre se il tuo video parla di cucina puoi completare l’outfit semplice e casalingo con un bel grembiule. Un accorgimento importante, al di là della scelta del colore e dello stile, è evitare capi con pattern troppo piccoli, perché possono dar vita al fastidioso effetto moirè, una particolare distorsione visiva che si crea quando due trame si sovrappongono.
  5. Utilizza la luce giusta
    Per fare in modo che gli sforzi fatti finora non risultino vani, è necessario che la tua scena sia ben illuminata. Anche in questo caso la scelta del mood sta a te: puoi decidere di creare una scena ricca di contrasti oppure, al contrario, illuminare in maniera omogenea; l’importante è che non si creino brutte ombre sul tuo viso o su quello dei protagonisti e che nessuna zona sia sovraesposta – ossia troppo illuminata – o sottoesposta – ossia troppo buia. Molte sono le attrezzature presenti sul mercato e la loro fascia di prezzo varia moltissimo in base alla loro performance e ai campi di utilizzo. In generale, comunque, cerca di non posizionare le luci troppo frontalmente, perché andrebbero ad appiattire la scena, e prova a utilizzare dei pannelli diffusori, che ti aiuteranno ad ammorbidire le ombre.

Siamo sicuri che questi piccoli accorgimenti faranno una grande differenza per i tuoi video perché, si sa, sebbene il contenuto sia ciò che conta di più, anche l’occhio vuole la sua parte!

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I 5 migliori career path per un developer nel 2022

Da 4 anni abbiamo la fortuna di contare Cris tra i software engineer di Fornace. Se stai pensando di intraprendere una carriera come developer, potresti fare tesoro dei suoi consigli!

La professione del software developer è necessariamente in continua evoluzione. Nuove sfide e opportunità si profilano all’orizzonte susseguendosi incessantemente e se da un lato è proprio questo a rendere affascinante il mestiere, è anche vero che non sempre è facile avere chiaro il quadro completo delle possibilità e delle prospettive a disposizione. 

Analizziamo quindi alcuni dei migliori career path in cui un aspirante developer può investire!

1) Blockchain/Smart contracts

Come ogni tecnologia quando muove i suoi primi passi, per molti la blockchain è ancora fonte di perplessità, ma è indubbio che costituisca una tecnologia fondante per molte applicazioni, e che in prossimamente lo sarà sempre di più.

Non si parla quindi solo della famigerata speculazione delle criptovalute, ma di vere e proprie applicazioni che fanno della decentralizzazione il proprio punto di forza.

A partire dagli Smart Contracts fino ad arrivare ai videogame basati su NFT, il mondo delle crypto riscuote progressivamente sempre più interesse e per questo la richiesta di sviluppatori in questo campo è in forte incremento.

Se sei interessato ad approfondire questo tema, ti consigliamo di dare un’occhiata a Solidity, il linguaggio di programmazione sviluppato in seno al progetto Ethereum, ma può essere molto strategico dedicarsi allo studio di Rust e Go, che sono in forte trend di crescita e offrono performance molto elevate.

2) Machine learning/Deep learning

Il settore del machine learning è ormai consolidato e durante questi anni non ha mai smesso di crescere e di affermarsi. Non si limita soltanto ad applicazioni come e-commerce o filtri anti spam, ma ha applicazioni pratiche e sta diventando addirittura indispensabile nel mondo dell’automotive, della robotica e in molti altri settori: dall’Internet of Things alla cybersecurity, passando dal riconoscimento vocale utilizzato dagli assistenti vocali che popolano sempre di più le nostre case.

Nel machine learning si utilizzano modelli costruiti appositamente, istruiti nella fase di training verso un determinato scopo. Il deep learning utilizza invece un modello basato su neuroni artificiali che simulano il funzionamento del nostro cervello.

Se sei interessato ad approfondire questi temi è fondamentale iniziare a prendere confidenza con il linguaggio di programmazione python. Non è semplice approcciarsi a queste discipline da soli, per cui è consigliabile seguire uno dei tanti corsi che vengono offerti online, per prendere confidenza con i concetti principali.

3) Big Data/Data analysis

Per Big Data ci si riferisce a quei set di dati che, vista la loro mole e quantità, richiedono di essere processati attraverso metodi ad hoc, con l’obbiettivo di ottenere informazioni e indici significativi.

Al giorno d’oggi è sempre più facile avere accesso a queste montagne di dati, grazie all’Internet of Things e in generale a tutti i dispositivi smart di cui ci serviamo e sappiamo che nel futuro ci sarà sempre di più la necessità di elaborare questi giganteschi dataset. Un professionista di questo settore deve maneggiare conoscenze trasversali tra statistica, matematica, machine learning, ecc.

Se vuoi approcciarti a questa professione è consigliabile conseguire una laurea in una disciplina scientifica. Anche in questo ambito un linguaggio molto utilizzato è python, con la libreria Pandas, che è un tool fondamentale per manipolare e analizzare dati.

4) Computer Security Specialist

La sicurezza informatica è un ambito che sta diventando esponenzialmente sempre più importante nella vita di tutti i giorni. Dai dati personali a quelli che riguardano interi sistemi governativi, garantire la sicurezza è sempre più difficile per via delle minacce informatiche che si evolvono in potenza e raffinatezza. Acquista quindi grande rilievo la figura del security specialist, indispensabile per moltissime realtà. Nei recenti sviluppi a livello mondiale si è visto che l’attacco informatico può diventare uno strumento per arrecare danno al nemico anche in situazioni di conflitto fra nazioni. Diventare specialisti di questo settore garantisce ottime prospettive occupazionali.

Se vuoi diventare un “Ethical Hacker” ti servirà fluidità in quanti più linguaggi di programmazione possibile, oltre che una conoscenza approfondita di firewall, reti e sistemi operativi. È consigliabile inoltre intraprendere un percorso universitario in campo informatico e ottenere una certificazione apposita.

5) Augmented/Virtual Reality

Sebbene si possa pensare che le applicazioni di questa tecnologia siano soltanto relative al mondo del gaming, esse possono avere impieghi anche nel settore della formazione e del marketing. La differenza tra realtà virtuale e aumentata è che la prima fa in modo che l’utente, grazie all’utilizzo di un visore, si trovi in un ambiente virtuale completamente isolato dal mondo esterno, nella seconda si ha invece l’interazione con elementi che si sovrappongono al mondo fisico, “aumentando” l’esperienza della realtà.

La realtà virtuale, grazie ai visori di nuova generazione, si sta diffondendo in moltissime case. L’azienda Meta (ex Facebook) sta investendo gran parte delle sue risorse nello sviluppo del metatarso e in applicazioni VR.

La vera rivoluzione è costituita dalla possibilità di avere un visore standalone in grado di introdurre l’utente in esperienze virtuali immersive senza la necessità di un costoso PC e set up laboriosi. Se sei già appassionato di questo mondo e di programmazione, perché non provare ad unire le due cose diventando sviluppatore VR/AR? I maggiori game engine come Unreal o Unity già offrono questa possibilità con dei toolkit appositi. Se sei quindi interessato a iniziare un percorso professionale in questo campo, dovrai acquisire familiarità con linguaggi come il C++ o C#, per iniziare sviluppare qualche progetto con gli engine citati.

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HOT! Da dove arrivano le fake news?

Chi crea campagne di disinformazione online? Con quali obiettivi, con quali mezzi? Come individuarle e combatterle?


Dopo il nostro ultimo articolo sulle fake news, inauguriamo la rubrica HOT! con un’intervista a Filippo Trevisan, Professore Associato di Comunicazione Pubblica presso l’American University School of Communication a Washington.

HOT! è lo spazio in cui approfondiamo tematiche sulla comunicazione, l’innovazione tecnologica e molto altro, insieme ai più grandi professionisti del settore.

Chi crea campagne di disinformazione online?  

Le campagne di disinformazione vere e proprie presuppongono uno o più obiettivi strategici ben definiti che vanno oltre il semplice ritorno economico diretto che può derivare dalla disseminazione di “fake news” intese più in generale. Per questa ragione, dietro a campagne di disinformazione tendono a esserci entità governative, agenzie para-statali, o comunque gruppi vicini o controllati da uno stato, oppure da un partito politico o gruppi di interesse che mirano a influenzare dinamiche politiche interne al proprio paese, in altri paesi, o a livello internazionale. Sono operazioni a lungo termine con fini politici per cui sono disponibili risorse considerevoli. Chi le pianifica sa sfruttare le dinamiche delle piattaforme social a proprio vantaggio avendo accesso a una serie di “opinion leader” che ne diffondono il messaggio, volontariamente o, molto spesso, involontariamente perché ne percepiscono un vantaggio indiretto in termini di visibilità e introiti economici. 

La distinzione quindi è tra fake news con obiettivo di monetizzazione attraverso il clickbaiting e campagne di disinformazione con obiettivi politici?

Si’, in sostanza la disinformazione tout court e’ legata a una chiara intenzionalita’, anche se poi in pratica il clickbaiting per monetizzazione e la disinformazione strategica si incrociano e si sovrappongono spesso.

Ci sono casi noti che possiamo citare? Si è parlato molto de “La Bestia”, l’apparato che gestiva la comunicazione della Lega di Salvini.

La cosiddetta “Bestia” di Salvini era forse piu’ un apparato di “ascolto” per cercare di captare i trend social della potenziale base leghista e proporre contenuti (veritieri o meno) che cavalcassero questi trend. Tra gli esempi piu’ eclatanti di disinformazione recente c’e’ sicuramente la narrazione della “big lie” (la “grande truffa”) che sostiene la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane del 2020.

Come individuarle?  

Al di là dello stare in guardia nei confronti di elementi ovviamente sospetti come foto ritoccate e video deep-fake, non è sempre così semplice riconoscere la disinformazione. Buona parte di questa difficoltà deriva dal fatto che non tutti i contenuti di ciascuna campagna di disinformazione sono necessariamente falsi. Anzi, l’introduzione di dettagli accurati all’interno di una narrazione fuorviante è strategicamente utile perché contribuisce a rendere la sua individuazione più difficile e ne allarga potenzialmente la platea, rendendo suscettibili anche persone solitamente più attente alla provenienza dell’informazione. Poste queste difficoltà, la reticenza nel dichiarare le fonti, il richiamo costante a pregiudizi e stereotipi, il tentativo di spiegare in termini semplicistici problemi complessi, l’allusione e la tendenza a suggerire implicitamente piuttosto che dimostrare certe conclusioni, la pretesa di rivelare qualcosa che qualcuno ha voluto tenere “nascosto” sono generalmente segnali più o meno evidenti di disinformazione. Inoltre, un altro importante segnale è l’invito a chi dissente con la narrativa sostenuta dai disinformatori a provare che le cose non stanno effettivamente così, spostando l’onere della prova su altri e costringendoli a dimostrare l’assenza di evidenze, un compito generalmente arduo e a volte impossibile. 

Ci sono organizzazioni autorevoli che monitorano queste attività a cui consigli di rivolgersi?

Ce ne sono diversi. Alcuni, come FactCheck.org o Politifact negli USA e Open in Italia si occupano principalmente di verificare la fattualita’ di certe notizie o certe affermazioni. Altri, come Right Wing Watch negli USA, cercano di dare una visione piu’ ampia, presentando anche i collegamenti tra i vari attori coinvolti in tentativi di disinformazione.

Come si struttura una campagna di disinformazione online? 

Le campagne di disinformazione di oggi riprendono strategie di propaganda tradizionali, aggiornandole per l’era digitale. Un caposaldo di queste strategie è lo sfruttamento di fratture sociali preesistenti basate su pregiudizi razziali o religiosi come nei confronti delle persone di colore o di religione ebraica, sospetti nei confronti di gruppi con interessi economici significativi come l’industria farmaceutica, oppure incompatibilità basate sulla demonizzazione degli avversari politici. La disinformazione non apre necessariamente nuove fratture, ma piuttosto cerca di acuire quelle esistenti. Gli algoritmi che regolano il flusso di informazioni sulle maggiori piattaforme social si sono rivelati ottimi vettori per questo tipo di contenuti che tendono a suscitare reazioni forti e più costanti rispetto ad altri contenuti meno semplicistici e scandalistici. Questa operazione èinoltre facilitata dal recente declino della fiducia nei confronti di mass media di tipo tradizionale come TV e giornali in paesi come gli Stati Uniti e l’Italia, dove per esempio WhatsApp è emerso come un importante canale di informazione peer-to-peer negli ultimi anni. 

Come si distinguono bot e profili fake? 

Bot e profili fake sono spesso contraddistinti da segnali abbastanza chiari, ma identificarli richiede un po’ di tempo e ricerca che molti utenti non hanno modo di effettuare. Errori grammaticali ricorrenti sono un segnale piuttosto evidente, come anche il fatto che un profilo esista da poco tempo, oppure che posti solo ed esclusivamente a proposito di un singolo argomento, con attitudine polemica, o esclusivamente in risposta ad altri. Per intenderci, non tutti i bot agiscono in maniera negativa. Alcuni sono programmati per amplificare contenuti validi su tematiche importanti, mentre altri sono in grado di fornire informazioni utili rispondendo a domande più o meno semplici, ma dovremmo generalmente sospettare di quelli che mostrano i segnali che ho elencato. In aggiunta a bot e profili fake, bisogna anche stare in guardia nei confronti di “super-utenti” reali con una platea social considerevole e una chiara agenda politica, che spesso ricoprono ruoli ancora più importanti all’interno delle campagne di disinformazione e risultano essere responsabili per buona parte della diffusione di questi contenuti. 

Qual è il ruolo delle campagne di disinformazione sulle elezioni USA? E sulla guerra in Ucraina? 

La disinformazione online ha giocato ruoli leggermente diversi nelle campagne elettorali USA del 2016 e del 2020. Nel 2016 l’obiettivo principale fu quello di persuadere parte dell’elettorato Democratico – per esempio, gli elettori Afro-Americani nelle grandi aree urbane della cosiddetta “rust belt” tra la Pennsylvania e il Michigan, e i sostenitori di Bernie Sanders in tutti gli stati considerati in bilico – a non votare. Nel 2020 l’obiettivo fu quasi l’opposto, cioè mobilitare l’elettorato Repubblicano a votare di persona per scongiurare ipotetici brogli. La diffusione di questa narrativa su internet a partire da mesi prima delle elezioni è poi stata funzionale a quello che è seguito, consentendo a Donald Trump di non dover mai ammettere la propria sconfitta. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, da parte russa ci sono stati chiaramente dei tentativi di disinformazione che si sono innestati su dinamiche già avviate e che mirano a indebolire la risposta dell’Occidente minandone l’unitàinterna, soprattutto negli Stati Uniti. Sono tentativi che sembrano essere andati a buon fine solo parzialmente dato che anche alcuni dei gruppi più estremisti negli USA si sono trovati spiazzati difronte all’invasione dell’Ucraina, ma che hanno comunque aperto un fronte interno capace di distogliere l’attenzione dalla necessità di una risposta unitaria. 

Come si risolve il problema? 

Al di là del potenziamento delle campagne di alfabetizzazione digitale, incluse quelle rivolte a fasce della popolazione più avanti con gli anni che oggi rappresentano una grossa parte degli utenti di piattaforme come Facebook e che si sono dimostrate particolarmente suscettibili alle sirene della disinformazione, il problema di fondo rimane nel modo in cui sono strutturate oggi le piattaforme social. Da un lato, per risolvere veramente il problema della disinformazione digitale compagnie come Facebook, YouTube, e TikTok dovrebbero smettere di definirsi semplicemente come canali di distribuzione più o meno neutrali e cominciare a comportarsi come i veri e propri mezzi di informazione che sono ormai diventati. Questo gli consentirebbe di applicare standard molto più stringenti nei confronti dei contenuti che appaiono sulle loro piattaforme. Questo ovviamente implicherebbe un ripensamento di fondo del modello economico di queste piattaforme che al momento è orientato esclusivamente all’ “engagement” (ovvero la condivisione, i commenti, e le reazioni) e che inevitabilmente finisce per privilegiare contenuti pensati per suscitare reazioni forti tramite il richiamo a pregiudizi, preconcetti e narrative preesistenti. Francamente, penso che questo sia molto difficile se non impossibile senza un intervento legislativo oppure in seguito a un abbandono di massa da parte di utenti insoddisfatti dal livello dei contenuti che circolano su queste piattaforme. 

Dal momento che una piattaforma privata è il luogo in si tiene la discussione pubblica come una moderna agorà, non credi sia pericoloso che un’organizzazione privata abbia il potere di censurare determinate opinioni?  

Potremmo parlare di censura se a monitorare le informazioni e i commenti fosse un’agenzia governativa. Chi si iscrive a una piattaforma gestita da una compagnia privata sottoscrive delle regole comuni che dovrebbe rispettare assumendosi le proprie responsabilita’ in caso di affermazioni fuorvianti o prive di fondamento. Un cambiamento di rotta da parte delle piattaforme per dare priorita’ a contenuti e fonti di qualita’, anziche’ promuovere esclusivamente cio’ che ottiene piu’ reazioni da parte degli utenti, e’ fondamentale se vogliamo limitare la diffusione della disinformazione.

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Come navigare in un mare di fake news

Siamo un’agenzia di comunicazione digitale. In quanto tale, sentiamo che possiamo dare un piccolo contributo a chi ci legge con una breve guida per orientarsi nel mondo dell’informazione online.

Qualche settimana fa abbiamo condiviso il seguente post

Una provocazione, uno scherzo dichiarato esplicitamente: l’emoji di un pagliaccio si affaccia sull’immagine, e gli hashtag recitano chiaramente “#Scherzone” e “#NonCondividereITuoiDati”.

Eppure, dei 79 commenti ricevuti, buona parte provenivano da persone in qualche modo convinte che ci importasse effettivamente dei loro dati personali. 

Iniziamo quindi da questo primo step: 

Step 1: leggi attentamente il contenuto e nella sua totalità

Spesso osserviamo commenti e reazioni spropositate a contenuti relativamente innocui, perché chi legge si affretta a incasellare il dato all’interno di una propria cornice di interpretazione della realtà che spesso non combacia con la realtà stessa. 

In psicologia si chiama “euristica”: non abbiamo le risorse né il tempo per analizzare per intero la mole di dati che ci arriva dall’esterno, e quindi abbiamo sviluppato degli algoritmi mentali per interpretare il mondo in maniera veloce ed efficiente. 

Dobbiamo però esserne consapevoli. Chi produce i contenuti che popolano le reti sociali digitali spesso lo è (perfettamente consapevole) e, per esempio, può decidere in base a questo di riportare una notizia con un titolo che è solo parzialmente vero o che addirittura distorce totalmente la realtà, ma che genera una forte reazione nel lettore. 

Su questo si basa il successo di una pagina: sull’engagement, il tasso di coinvolgimento. 

Se l’algoritmo di un social network vede che un contenuto che viene proposto agli utenti genera coinvolgimento, automaticamente lo proporrà a un numero maggiore di utenti. 

Come prima cosa quindi, assicurati di non commentare o condividere una notizia soltanto basandoti sul titolo o sulla tua prima reazione: il contenuto dell’articolo, qualche riga in più del post o qualche slide al carosello potrebbero farti cambiare idea. 

Step 2: sii cosciente delle tue reazioni

Se una storia genera in te una reazione emotiva molto forte, fa che questa reazione diventi un campanello di allarme: si tratta di un contenuto confezionato ad arte per suscitare queste reazioni? 

Siamo tutti, nessuno escluso, vittime dei nostri bias cognitivi: tendiamo a sbagliare sistematicamente a interpretare alcuni aspetti della realtà, per semplificare i processi mentali. In questo contesto, dobbiamo essere particolarmente consapevoli del bias di conferma: “un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare ed interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi e, viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono”. 

È così che possiamo gradualmente trovarci all’interno di una bolla. Se escludiamo tutte le fonti e le persone che condividono contenuti che non rappresentano i nostri valori e le nostre credenze, finiamo col circondarci esclusivamente di voci che confermano le nostre teorie, creando un effetto eco pericolosissimo, in quanto ci porta ad isolarci e ad estremizzarci

Step 3: verifica

Per prima cosa, controlla chi ha condiviso il contenuto in questione. Se si tratta di una figura pubblica, controlla che l’account sia verificato: c’è la spunta blu? Ci vuole un attimo a creare un profilo fake! Se non si sta attenti si rischia di confondere, per esempio, ciò che pubblica “Il Fatto Quotidaino” con notizie vere.

Sicuro che non sia satira? Account come Lercio commentano l’attualità in maniera esplicitamente ironica, ma molte altre pagine lo fanno in maniera più sottile e velata, tanto che spesso la satira è praticamente la scusa per condividere contenuti acchiappaclick, mossi da intenzioni torbide. 

Se si tratta di un grafico controlla: è indicata la fonte? La data è attuale? 

Questo è un altro punto cruciale: spesso vengono condivise, in malafede, notizie vecchie. Se ci si accorge che viene pubblicato il racconto di un fatto avvenuto tempo fa, bisogna chiedersi che motivo c’è dietro. Inoltre, spesso avviene che le notizie vengano rettificate, e se viene riportato un fatto di cronaca datato, nel frattempo potrebbero essere emerse verità che al tempo della narrazione non si potevano conoscere. 

“Chiunque può scrivere quello che vuole su internet”: così diceva Abraham Lincoln nel 1850. Oppure no? Se ci si trova davanti a una citazione, bisogna assicurarsi in primo luogo che sia autentica, e successivamente che non sia stata estrapolata in maniera fuorviante dal suo contesto

Per restare in tema di citazioni, Forrest Gump diceva che “stupido è chi lo stupido fa”. E sulla rete c’è chi ha interesse a spacciarsi per stupido: sono gli account “false flag”, ovvero account costruiti apposta per sembrare in tutto e per tutto esponenti della fazione politica avversaria e seminare volontariamente figuracce clamorose in giro per i social network, in maniera da sminuire il movimento a cui si finge di appartenere. 

Non diamo i numeri: presta attenzione alle storie che suggeriscono il coinvolgimento di una folla. È davvero così? Ci sono stati casi di questioni sollevate da pochi e sospetti account, che sono state poi gonfiate dalla spropositata reazione della fazione politica opposta a chi teoricamente ha vocalizzato la questione.C

Con i numeri, attenzione in generale, non solo con le persone: è stato richiesto un risarcimento da milioni di euro? Non significa sostanzialmente nulla di per sé, in quanto la causa potrebbe benissimo non essere davvero credibile. 

Come dipingono la storia le altre fonti di informazione? Non è detto che la narrativa mainstream sia sempre quella corretta, e non è detto che fonti di informazione di parte siano necessariamente inaffidabili.  Ma se una storia appare riportata soltanto da alcune specifiche fonti è possibile che sia dovuto al “data void”, cioè che non ci siano sufficienti informazioni perché testate riconosciute possano trattare la questione, lasciando spazio alla disinformazione. 

In conclusione

La disinformazione non si cura soltanto con una checklist. Si combatte attraverso il pensiero critico, ponendo particolare attenzione in primis a noi stessi: riconoscendo le nostre reazioni, i nostri stessi pattern di pensiero e, con molta umiltà, i nostri limiti.  

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Criptovalute: nuovo bene rifugio

A differenza di oro e banconote, le criptovalute non hanno bisogno di essere nascoste e trasportate. Sono il nuovo bene rifugio? Sono anche il nuovo mezzo di scambio per i Paesi sanzionati dall’Occidente?

In queste ore l’Unione Europea sta prendendo decisioni senza precedenti: finanziare per la prima volta l’acquisto e la consegna di armi per un paese sotto attacco e bandire in tutto il proprio territorio i siti web Sputnik e Russia Today, controllate dal governo russo

I provvedimenti che più stanno facendo discutere in questo momento sono tuttavia quelli relativi alle transazioni finanziare: l’interdizione per banche russe dell’accesso sistema di pagamento internazionale SWIFT e il congelamento degli attivi della Banca Centrale Russa. 

L’annuncio ha subito scatenato una corsa al contante; la Banca di Russia ha cercato di arginarla alzando i tassi di interesse del 10% e portando il tasso di cambio del dollaro a poco meno di 100 rubli, ma non si è rivelato sufficiente. 

Dollaro e contanti, tuttavia, non sono stati il solo bene rifugio: secondo Chainalisys gli scambi tra rublo e Bitcoin sono saliti di 8,6 volte dal primo giorno di attacco. Da qui la domanda: “e se la Russia utilizzasse le criptovalute per aggirare le sanzioni?” 

In effetti il Paese, dopo un primo scontro tra Banca Centrale e il Ministero delle Finanze, ha approvato un disegno di legge che mira alla regolamentazione degli asset digitali. Sembrerebbe che Putin stia valutando l’opportunità di utilizzare il rublo digitale annunciato tempo fa per commerciare con una nutrita lista di partner in tutto il mondo; primi della lista gli altri paesi vittime delle sanzioni statunitensi, come l’Iran.   

Non si può tuttavia trascurare l’importanza delle valute digitali per i civili, che si trovano a subire le decisioni imposte dall’alto: anche se lo scopo delle sanzioni è punire e ostacolare i movimenti di denaro di Putin e degli altri oligarchi, queste ricadono inevitabilmente sull’intera popolazione russa, di cui il 13%, nel 2021, viveva sotto la soglia di povertà. 

Anche la popolazione ucraina sta ricorrendo alla DeFi: dall’inizio del conflitto gli scambi tra grivnia e BTC sono aumentati di 8,6 volte.  In queste tragiche circostanze, le crypto stanno mostrando anche agli scettici la loro utilità come asset rifugio, poiché a differenza di oro e banconote non hanno bisogno di essere nascoste e trasportate

Proprio la minaccia della guerra potrebbe aver dato una grossa spinta alla legalizzazione del Bitcoin in Ucraina, avvenuta il 17 febbraio, ma va detto che il Paese già da tempo era tra i più attivi per l’utilizzo di moneta virtuale. Questo ha agevolato anche la raccolta di fondi a sostegno dell’esercito e della popolazione civile, avvenuta attraverso diversi canali tra cui addirittura il profilo Twitter del governo, che ha pubblicato l’indirizzo di un wallet a cui inviare le donazioni.

Come donare? 

Di seguito i link ad alcune associazioni che stanno aiutando la popolazione Ucraina:  

Come Back Alive

Croce Rossa Ucraina 

Voices of children 

Soleterre

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Come la blockchain sta cambiando il mondo delle assicurazioni

Come può un blocco di codice togliere dal fuoco le castagne delle compagnie assicurative e dare una spinta innovativa alla produzione del settore?

Ostacoli e prospettive attuali

La gestione dei processi assicurativi è complessa e dispendiosa, in termini di risorse economiche ed umane. Questa caratteristica del servizio tende negli anni ad erodere la redditività delle compagnie e a frenare l’innovazione produttiva del settore. 

L’analisi attuariale è uno dei pilastri su cui si fonda questo business: si tratta del processo per valutare la probabilità del rischio di un investimento e i modi per ridurre l’impatto finanziario di tale rischio, e comporta l’elaborazione di una grande mole di dati, spesso frammentati su diverse piattaforme e di difficile riconciliazione. Un altro fondamento del settore è l’accertamento dei sinistri e la relativa liquidazione, che avvengono attraverso processi in gran parte manuali e spesso senza standard condivisi. Infine, le procedure e i contratti delle polizze risultano spesso poco trasparenti per i clienti, favorendo l’aumento delle contestazioni

Il settore assicurativo vorrebbe spingere sulle micro polizze, ovvero quei prodotti assicurativi con premi di basso importo e durate limitate, ma si vede rallentato da queste complessità, che secondo l’Università di Cambridge potrebbe essere in gran parte risolta appoggiandosi alla blockchain

L’autorevole ricerca evidenzia che la tecnologia blockchain presenta delle caratteristiche essenziali: 

Trasparenza: la catena di dati è consultabile per intero dalle parti. 

Sicurezza: i dati sono crittografati e resi immutabili. 

Decentralizzazione: i dati sono condivisi e così anche la manutenzione e la verifica della rete, che non dipende da un’autorità centrale. 

L’automatizzazione dei contratti e casi reali

Gli smart contract non hanno valore legale, ma possono essere utilizzati per eseguire automaticamente contratti e accordi ufficiali. 

I dati “off-chain” vengono integrati da fonti esterne, chiamate “oracoli”, che possono essere concordate tra le parti: si può trattare ad esempio di una piattaforma meteorologica affidabile, in una polizza che stabilisce che se il firmatario durante la sua vacanza trascorre tre giorni sotto la pioggia, riceverà automaticamente il premio. 

Un altro caso sempre relativo alle assicurazioni di viaggio può essere quello in cui l’oracolo è la piattaforma di una compagnia aerea, che al verificarsi di un ritardo comunica allo smart contract di eseguire il rimborso; spostandoci dal turismo e passando alla finanza possiamo trovare come oracolo il portale online della Borsa, che registra variazioni finanziarie collegate a una polizza e il meccanismo va ad elargire il premio. 

Rischi e sfide

È probabile che i rischi maggiori per una compagnia che si approccia alla blockchain siano più legati al proprio modello di business che alla tecnologia stessa. Si tratta tuttavia di investimenti che potrebbero premiare sul lungo periodo. È utile ricordare che la blockchain esiste da tanti anni, e la sua “rinascita” si può interpretare attraverso la chiave di lettura della “Legge di Amira”, che stabilisce che “all’introduzione di nuove tecnologie si tende simultaneamente a sovrastimarne l’impatto a breve termine e a sottostimarne l’impatto a lungo termine”.

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Il secondo decollo del Web3 in Italia

Investimenti statali e iniziative private per restare al passo con l’innovazione

Nel 2021 a livello mondiale le iniziative sulla blockchain sono aumentate del 39% rispetto al 2020, mentre in Italia gli investimenti nel settore restano costanti: complessivamente hanno avuto un giro di affari di 28 milioni di euro, a fronte dei 23 milioni del 2020 e dei 30 milioni del 2019. 

Per dare una spinta ora il Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha firmato a inizio dicembre il decreto attuativo del Fondo per lo sviluppo delle tecnologie e delle applicazioni di intelligenza artificiale, blockchain e internet of things, istituito presso il Mise con una dotazione iniziale di 45 milioni di euro.

La capacità d’innovazione è la premessa per rafforzare e far diventare competitivo il sistema produttivo del nostro Paese di fronte alle sfide della transizione digitale. Il Mise sostiene la nascita e la crescita di imprese innovative favorendo lo sviluppo e il trasferimento tecnologico dal mondo della ricerca alle imprese, anche attraverso la sperimentazione, l’utilizzo e la diffusione di soluzione innovative come l’intelligenza artificiale e la blockchain” ha dichiarato Giorgetti. 

I 45 milioni di euro del Fondo, messi a disposizione dal Mise per sostenere con finanziamenti agevolati la realizzazione dei progetti innovativi, potranno essere ulteriormente incrementati attraverso contributi volontari di enti, associazioni, imprese e singoli cittadini. Inoltre potranno essere combinati con fondi e risorse nazionali o comunitarie in modo da favorire l’integrazione con i finanziamenti di ricerca europei e nazionali.

In particolare, è previsto che una quota di finanziamenti sia riservata alle attività situate in Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna, ma se entro sei mesi dall’apertura dei termini per la presentazione delle domande i progetti legati a queste regioni non saranno stati avviati anche queste risorse potranno essere utilizzate per le richieste arrivate da tutto il territorio nazionale.


Si attende quindi il successivo provvedimento ministeriale che renderà note le modalità e i termini di presentazione delle domande per richiedere i finanziamenti agevolati, che potranno essere presentate da soggetti pubblici o privati, anche in forma congiunta tra loro.

La blockchain ha la capacità di creare l’infrastruttura che abilita nuove soluzioni di business indipendenti, e se “a livello internazionale i progetti sviluppati in questo ambito sono ancora pochi (solo 71, il 10% del totale), la crescita del 382% in un anno lascia intuire grandi prospettive”, come scrive l’Osservatorio Blockchain e Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano.

La versatilità che la costituisce permette ormai da diversi anni alla tecnologia blockchain di essere uno strumento a supporto delle aziende di una vastissima gamma di settori, dal noleggio delle automobili al settore immobiliare.

La trasparenza degli smart contract e della decentralizzazione si presta particolarmente per i protocolli di crowdfunding di Kickstarter, che ha deciso di affidarsi a Celo, una piattaforma open-source e carbon-negative. Secondo Kickstarter, la tecnologia blockchain “è un mezzo potente per creare e allineare reti decentralizzate di persone su una scala immaginabile solo per i governi e le mega-corporazioni. Questo è possibile perché è facile premiare la partecipazione, è componibile, è questo permette di sbloccare nuove idee e strumenti, e garantisce una partecipazione efficiente nella governance”. 

L’ultimo gigante ad affacciarsi è Google Cloud, che sta reclutando legioni di esperti di blockchain per espandere la propria offerta. Siamo agli inizi del Web 3, incentrato (pun intended) sulla decentralizzazione. E nessuno vuole buttare via l’occasione di essere pioniere di nuove terre fertili, come quel James Howells, che buttò un hard disk con la chiave di accesso al suo wallet, contenente l’equivalente in bitcoin di 350 milioni di dollari